Vai al contenuto

In aprile nacque Giacomo dall’ebook “Schegge di Liberazione”

25 aprile 2010

Erano passati oramai molti mesi da quando Maria aveva scoperto di essere incinta. Fu un giorno di festa nella casa in cima alla collina che in primavera diventava tutta un prato di camomilla in fiore. La casa distava qualche chilometro dal paese ed era isolata dalle altre abitazioni sparse a gruppetti per la vallata.

Venti anni e occhi limpidi Maria. Pelle bruna e mani ruvide Francesco. Si erano sposati in primavera. Un anno prima.

Era stata una gravidanza complicata che l’aveva costretta a letto per mesi, in assoluto riposo. Francesco la baciava all’alba prima di andare a lavorare nei campi e, al tramonto, ritornava con un cesto di pane, uova o formaggio, a seconda dei giorni. Per il resto, il piccolo orto che curavano insieme dava sempre frutta e verdura a sufficienza. Vivevano di terra in un tempo scandito dalla semina e dal raccolto.

Dal letto, di fronte alla finestra, Maria poteva scorgere il prato di fiori di camomilla, il profilo delle colline, il sole. Francesco le aveva portato delle matite carboncino insieme a fogli un po’ stropicciati, che un professore, per il quale faceva lavoretti di manodopera, gli regalava di tanto in tanto. Così Maria aveva cominciato a disegnare. Disegnava con mano ferma tutto ciò che vedeva dalla finestra. Ma quello che le piaceva di più disegnare erano senz’altro i fili d’erba. Li disegnava ora morbidi e accasciati, intrisi di rugiada e appesantiti dalla pioggia, ora ribelli e arruffati nel vortice di un vento forte che all’improvviso li piegava con violenza.

Maria non sapeva niente della guerra. Nella casa, tra prato e cielo, ascoltava i racconti di Francesco che, prendendole una mano, le diceva: << quando Giacomo nascerà tutto questo sarà finito. E resta tranquilla ché quassù siamo al sicuro>>. E sottovoce, quasi parlando a se stesso, raccontava dei partigiani, degli alleati che risalivano l’Italia e dei tedeschi che si ritiravano. Ma lei i tedeschi non li aveva mai visti. A dire il vero, le uniche persone incontrate nell’ultimo anno erano alcuni giovani che ogni tanto Francesco portava a casa tornando dai campi. Davano loro da mangiare e dormire per una notte. Il giorno dopo non c’erano più.

Maria non sapeva niente della guerra, neanche dopo nove mesi. Francesco, quella mattina, sarebbe andato dalla levatrice in paese per avvisare che sua moglie “aveva finito i giorni”.

Le divise arrivarono tra prato e cielo quello stesso pomeriggio. Maria dormiva sdraiata sul fianco; per tutta la notte il suo bambino si era agitato. I tedeschi ripiegavano rovinosamente su per le colline, gozzovigliando rumorosamente e disperatamente, accesi dalla più bruta e fanatica ferocia. Rastrellavano le case, velocemente. Freddamente puntavano e sparavano su donne e bambini inermi, soli in casa a quell’ora del giorno. Arrivarono anche nella casa tra prato e cielo, i tedeschi.

Maria non sapeva niente della guerra ma avvertì il pericolo annunciato da un tenue stridore in lontananza che la fece balzare in piedi come non succedeva da mesi. Sollevò la pancia con le mani, si mise addosso uno scialle e si incamminò sul prato, a piedi nudi, sporgendosi il più possibile per guardare nella vallata.

L’erba era fredda e umida sotto i piedi; il sole, che cominciava ad abbassarsi, le riempiva gli occhi di luce. Non riusciva a distinguere bene o, forse, teneva gli occhi socchiusi per non vedere del tutto quello che cominciava a capire. Le case sulle pendici erano state violate. Le porte divelte. Le bestie, disorientate, vagavano in pavida libertà fuori dai recinti. I cani abbaiavano rabbiosi attorno agli uomini in divisa. Pianti e lamenti portati dal vento.

Maria non sapeva niente della guerra ma ritornò indietro, quasi non respirava. Riattraversò la casa. Uscì dal retro. Passo dopo passo, dall’orto di pomodori e verze e dagli sparuti alberi da frutto si spinse in là, dove le erbacce erano diventate altissime, dove le piante selvatiche erano addobbate con spine spesse, dove i cespugli nascondevano dal sole gli animali selvatici. Fino ad un gruppo di rocce e pietre quasi del tutto nascosto dalla vegetazione. In un incavo naturale di quella capanna rocciosa, Maria e Francesco trovarono riparo quel giorno che la pioggia estiva li sorprese durante una passeggiata. Quella piega tra le rocce che allora le era sembrata un sorriso, rassomigliava a una ferita infetta.

Maria non sapeva niente della guerra ma i tedeschi arrivarono tra prato e cielo quel pomeriggio. Li sentì giungere dalla cuccia fredda come una tomba nella quale si era rifugiata. Li sentì entrare in casa, muoversi fra le sue cose, armeggiare fra lenzuola, cassetti, dispensa e odori domestici.

E sparavano i tedeschi tra prato e cielo, anche se in casa non c’era nessuno, sparavano. E ridevano i tedeschi tra prato e cielo, anche se non ce n’era motivo, ridevano.

Con le mani sulla pancia, quasi per trattenere il bimbo che aveva dentro, pensava a Francesco e sperava che non venisse lassù a cercarla. Fredda la terra, fredda la roccia, fredda la fronte. Pregava.

Maria non sapeva niente della guerra ma i tedeschi arrivarono nell’orto della casa tra prato e cielo quel pomeriggio. Ora poteva vederli i tedeschi, da dietro le spine: con la bottiglia in una mano e la pistola nell’altra ridevano e bevevano i tedeschi, ridevano e pisciavano nell’orto i tedeschi, bevevano e ridevano ululanti, barcollanti, disperatamente euforici i tedeschi.

Maria con gli occhi chiusi e il cuore in gola aspettava di essere trovata e ammazzata insieme al suo bambino.

Poi scese il buio sugli schiamazzi dei tedeschi tra prato e cielo e arrivarono le doglie, lancinanti, nella pancia della roccia.

Quella notte Maria diventò sughero in mezzo al mare: onde di dolore si alternarono a onde di freddo e di sudore nella roccia tra prato e cielo. Arrivarono le lacrime e, insieme alle lacrime, arrivò di nuovo la luce, fredda e silenziosa. Non si sentivano più i tedeschi tra prato e cielo, non si vedevano più le divise.

Il sole, appena sorto, reclamava definitivamente quella vita che non riusciva a trattenere più dentro la pancia. Pregò che Francesco li trovasse presto in quella conca nella roccia che anche le rondini avrebbero scelto per farvi il nido.

Giacomo nasceva sulla collina tra prato e cielo. Era aprile.

“Questo post è dedicato a quelle persone che, come Maria, non conoscevano il volto del l’invasore. Persone semplici e coraggiose che hanno aiutato i partigiani offrendo loro ricovero e conforto per difendere il diritto alla vita”.

Jessica Carrieri

E’ possibile scaricare l’ebook “Schegge di Liberazione” qui http://barabba-log.blogspot.com/2010/04/schegge-di-liberazione-un-ebook.html : raccoglie in 211 pagine una settantina di “post resistenti” su quel che la giornata di oggi ricorda e rappresenta, a cura di Barabba e in collaborazione con l’ANPI di Carpi.

8 commenti leave one →
  1. 25 aprile 2010 08:25

    Mi hai fatto commuovere. Grazie

  2. Jessica Carrieri permalink
    25 aprile 2010 08:52

    Grazie a te, di cuore, buon 25 aprile 🙂

  3. 25 aprile 2010 16:10

    Bellissimo!! 🙂

  4. Jessica Carrieri permalink
    25 aprile 2010 19:07

    grazie Elena, sei sempre gentile :*

  5. 26 aprile 2010 11:11

    La coda impazzita dell’animale morente, della guerra, dell’invasione, che sbatte e travolge tutto… vite consumate, vite non ancora nate… ben scritto, musicato.
    Anche io mi sono commosso… >.>

  6. 26 aprile 2010 11:27

    Molto bello,
    mi ha emozionato, scritto con quelle parole ed immagini che solo gli Italiani e soprattutto chi ha misurato sulla propria pelle il bruciore del sole o la frescura della pioggia campagnola sa descrivere.
    Sentivo gli odori, i sapori, la paura e la sospensione del tempo.
    scusami ma sai mi conosci sono pignolissimo, lo so che era voluta ma a volte era un pochino forzatamente ripetitiva. ma solo per trovare il pelo nell’uovo
    un abbraccio
    Maxxi

  7. Jessica Carrieri permalink
    26 aprile 2010 11:56

    Si, in effetti la ripetizione è forzata per rendere come una filastrocca stonata l’assurdità della situazione, ma capisco quello che vuoi dire. Non ti conoscessi 🙂

  8. Jessica Carrieri permalink
    26 aprile 2010 11:57

    e la forza della vita, nonostante tutto :*

Lascia un commento